CONCERTO A MONTEROTONDO MARITTIMO (GR)
Ricordi di Guido, riflessioni, amenità et altro.

2-3 Maggio 2015

Monterotondo? Dov’è?
Monterotondo Marittimo…sarà sul mare!
Boh…mai sentito nominare.
Staremo a vedere.
Quattro ore e mezzo di viaggio, chilometri e chilometri di salita con qualche tornante da vomito: finalmente ecco Monterotondo, ridente paesino medievale a 550 metri di altitudine, incuneato tra le province di Pisa, Livorno e Grosseto, disteso tra boschi, cipressi neri come quelli che “a Bolgheri alti e schietti i van da San Guido in duplice filar...”
Per non tediare: arriviamo alla meta in tarda mattinata accolti dalla gentilissima signora Germana.
Una breve sosta appena sufficiente per prendere fiato e ossigeno passeggiando per il borgo ed eccoci pronti per una cantatina ispiratrice nella chiesa parrocchiale dove la buona acustica dona spessore all’Ave Maria di Arcadelt. L’oratorio di San Lorenzo a due passi ci attende per il pranzo, non un pranzo qualsiasi, ma un pranzo speciale che dal saporito antipasto s’inoltra con dovizia fino al creme caramel, al caffè e ci dona la pace dei sensi e la leggerezza della mente (per merito dell’ottimo vino). Partenza per la gita
Il programma prevede una comoda scarpinatina in un anello turistico intorno alle Biancane. Vediamo vapori bianchi che fuoriescono dal terreno, macchie biancastre e rosse che segnano il suolo. Tutto intorno il paesaggio ha un aspetto suggestivo ed inconsueto, surreale, da inferno dantesco. Il signor Assessore Orano Pippucci, in funzione di guida, ci parla di geotermia, di chimica, di vapore e di fumarole. Si sente infatti il calore della terra e il respiro profondo del mondo vulcanico sotterraneo, ma ciò che ci colpisce anche senza spiegazioni è il forte odore di acido solfidrico, comunemente rinominato, da noi inesperti padani, “puzza di uova marce”.
trucco-parruccoLe guide dicono che se il visitatore è un appassionato di trekking può raggiungere a piedi in 15-20 minuti la parte alta delle Biancane, ma non è il nostro caso: ce la prendiamo con calma, osserviamo tutto, commentiamo, scattiamo foto di fronte e di profilo, facciamo di tutto per non disturbare la laboriosa digestione di quella montagna di ottime tagliatelle al sugo che soggiorna apatica nel nostro stomaco.
Sedici e trenta. Raggiungiamo il teatro del concerto sudati come bestie. Teatro…diciamo teatrino piccino picciò, un palcoscenico piccino picciò, una porticina piccina picciò, un soffitto bassino bassò. Ascoltiamo gli altri cori poi concertiamo noi, alla nostra maniera. Paolo trasmette una carica positiva che rimette in ordine i nostri chakra scomposti dalla camminata sulfurea. Siamo soddisfatti. Il pubblico gradisce.
Cena a buffet. Buffet nel senso di abbuffata con tartine d’ogni tipo, bruschette, frittatine, zuppa di ceci ustionante, tagliatelle, pane toscano doc (una favola!), e altre specialità e infine… avanti con i dolci a gogò: proibito pensare a zuccheri, grassi e dieta.

Canto nel pratoCon il buio crescente, venne il tempo di ritirarci nelle stanze dell’agriturismo “La Contea” che, come recita il depliant: “è un armonioso complesso in pietra finemente ristrutturato dal quale si dominano la valle del fiume Cornia, il mare e le isole del Tirreno”. Tutto questo paesaggio non l’abbiamo visto sul momento, ma ci siamo sentiti immersi nella natura, tra piante secolari, fiori e cespugli fioriti. In sintesi: un piccolo paradiso toshhano.
Poi venne la notte. Come lucciole speranzose ci raccogliemmo in un appartamento ammaliati dal suono della chitarra che Paolo, previdente, aveva seco. Per la verità ci stipammo nel salotto come meglio si potè e per rimediare alla carenza di sedie si principiò il gioco della sedia mancante. Molte signore e pochissimi uomini i quali, forse, disdegnarono la puerilità del giuoco, parteciparono con entusiasmo anche alle penalità che ne seguirono. Le acque della fantasia si mossero, l’allegria si diffuse come un fiume in piena e sgorgò spontaneo il canto dalle nostre ugole. Di tutto si cantò, attingendo anche a repertori insoliti per un coro a cappella: canti di mondine, popolari e di costume, compreso “lo spazzacamino”, folk songs, canti politici di protesta e d’anarchia, carrellate di cantautori con qualche riguardo per Celentano e altri contemporanei, ma il clou della serata si ebbe quando c’inoltrammo nel mare magnum dei canti di scuola. Scuola materna, intendo, e asilo nido con il corredo di mossettine con le manine e il musetto e gesti arcaici alla Sieni sotto l’attenta regia di Sara, Daniela e Angela mentre Paolo, pur senza darlo a intendere, soffriva per il dolore alla punta delle dita per la veemenza delle schitarrate.
Cantammo così, per un paio d’ore, con gioia infinita e senza il valore aggiunto della benchè minima bevuta ristoratrice. Se ne notò la mancanza quando Clem, in un eccesso di eccitazione dovuta a carenza alcoolica intonò il canto Kalinka accompagnandolo con un gesto lugubre da lupo mannaro.
Di tanto in tanto fu necessario spalancare la porta per dare ossigeno alle menti e ai corpi ed evitare lo svenimento per l’eccesso di anidride carbonica che, si sa, può obnubilare le coscienze.
Poi, come l’onda del mare che si placa dopo la burrasca e si fa bonaccia, anche per noi venne il tempo di ritirarci quietamente negli appartamenti assegnati.
Parco delle BiancaneCon l’alba del 3 di Maggio si videro i coristi più temerari e vigorosi inoltrarsi lungo i sentieri del percorso vita per tonificare i muscoli intorpiditi. Altri coristi, insicuri o meno ardimentosi, si ritirarono nella sala da pranzo per una buona colazione e altri ancora vagabondarono nel paradiso terrestre inebriati dal canto degli uccelli e dal gracidar delle rane tra fragranze di muschi e l’olezzo dei fiori.
Un paio di coristi, marito e moglie, novelli Adamo ed Eva, mentre passeggiavano nel paradiso botanico tra prati di ciclamini e varietà spontanee di orchidee erano visibilmente in preda ad un deliquio simile alla sindrome di Stendhal che produce allucinazioni e vertigini. Anzi, uno di essi, l’uomo, correva temendo che i fiori scomparissero, volava addirittura come farfalla innamorata appena intravvedeva un’essenza erbacea inattesa e la fotografava con piacere orgiastico. Sul suo viso si leggevano i segni della beatitudine condivisi da cenni affermativi della moglie fiera di cotanta estasi.
Non è il caso, qui, di descrivere i comportamenti di tutti i coristi, ma sia sufficiente sottolineare quanto grande fu la gioia trasmessa ad essi dalla bellezza del luogo che si volle immortalare con diverse foto di gruppo sotto a un albero vetusto di biancospino in fiore e davanti a un generoso glicine.


Trasporto dei coristiLa partenza fu difficile. Annusammo per l’ultima volta i cespugli di rosmarino, apprezzammo l’aria fresca sul viso, riempimmo di immagini agresti i nostri occhi disabituati a tanta primitiva bellezza e ci apprestammo al ritorno. Le signore che lo desideravano, salirono sulla limousine messa a disposizione dagli amabili proprietari dell’agriturismo e raggiunsero il pullman che attendeva in una radura. Là ci apprestammo al ritorno, ma prima di abbandonare il luogo cosparso di trifoglio e lupinella, con lo sfondo delle colline armoniose dietro di noi, regalammo un canto ai nostri cortesi ospiti mentre lui, il marito Adamo, continuava a correre qua e là per fotografare gli ultimi fiori in un sussulto estremo di godimento.
trucco-parruccoGiunti a Volterra il gruppo si disperse. Ognuno seguì il proprio istinto turistico-culturale-alimentare. Sul far del mezzogiorno, tramite un tam-tam primitivo, ci si trovò tutti in un ristorante vegano- vegetariano per salutare Aulo Grandoli, l’amico scultore d’alabastro conosciuto a Marsiglia.
Il resto del viaggio è cronaca di tutti i giorni, ad eccezione di un episodio, consueto nel selvaggio far west nell’ottocento ma non dalle nostre parti, tra Giorgio, il nostro autista, e un fetentissimo camperista che, con offese e urla, voleva far valere un diritto inesistente. Solo la dolcezza della Bolo che lo guardò con occhio benevolo e bocca ammiccante valse a placare la ferocia dell’energumeno.
La sosta al grill di Firenze fu funestata anche dalla difficoltà di usufruire decorosamente dei servizi igienici a causa di una fila interminabile di turisti incontinenti e dall’ arroganza di alcuni cino-giapponesi che oggigiorno, purtroppo, dobbiamo tenere buoni perché stanno colonizzando la nostra terra. Qualcuno, per necessità impellente, fu costretto a usufruire dell’ospitalità spontanea di un cespuglio fiorentino.
Il ritorno fu allietato dalle parole crociate di Bartezzaghi. Si riunì immediatamente il collettivo culturale nel quale emerse gigantesca la figura di Mirco. Con puntualità svizzera furono riempite le ultime caselle proprio nel momento in cui il pullman giunse alla stazione delle corriere di Carpi, lasciando soddisfattissimi tutti i componenti del coro.
Erano le ore 20, 35.

Guido
collegamenti